Lea Garofalo: monologo immaginario

Alla fine di un percorso dedicato alla legalità ognuno di noi, tramite letture e ricerche personali, ha approfondito un personaggio (uomini delle istituzioni o semplici cittadini) che ha fatto qualcosa per fermare la mafia. Poi abbiamo scritto un monologo immaginario di questo personaggio. Ve ne proponiamo alcuni. Oggi proponiamo il monologo immaginario di Lea Garofalo scritto da Francesca.
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Prologo: Lea Garofalo è stata una testimone di giustizia, che decise di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco. Per questo fu oggetto di minacce e attentati, finché un giorno il suo ex marito la attirò a Milano col pretesto di parlare del futuro della loro figlia Denise.

Quella sera ero davvero molto agitata. Doverlo incontrare mi faceva venire le farfalle nello stomaco, ma non quelle farfalle che ti vengono quando pensi di incontrare la persona giusta, con cui vuoi stare ogni momento, no, queste non sono farfalle d’amore, anzi tutto il contrario, sono farfalle di angoscia, ansia e paura, solo sensazioni e sentimenti negativi. Quando sono scappata con Denise pensavo di darle un futuro migliore, forse avevo ragione, è stato un bene allontanarla da Carlo, la mafia e tutta quella roba… però mi sono accorta che è davvero difficile badare ad una bambina tutta da sola, i soldi non bastano… e poi anche lei ha bisogno di una figura maschile nella sua vita, una figura paterna. Quando Carlo chiese di incontrarmi per parlare di Denise… all’inizio volevo rifiutare e non andarci, ma poi mi sono ricreduta, magari le si vuole avvicinare davvero, vuole avere un rapporto con lei, un normale rapporto che si ha tra padre e figlia, quindi alla fine ho deciso di accettare. Ero tra le strade di Milano, di sera, al freddo di novembre, col vento che soffiava su di me, spostando i miei lunghi capelli dietro le mie spalle, mentre la mia testa era avvolta da milioni di pensieri. Pensieri di paura, perché in fondo stavo per incontrare un mafioso da sola… forse avrei dovuto portare qualcuno con me… ma ormai ero arrivata fin lì ed essendo molto testarda volli andare avanti fino in fondo. Ma anche pensieri più o meno felici… o almeno credo, perché credevo, o almeno speravo, che Carlo ci tenesse davvero a Denise, pensai,  in fondo anche lui è una persona e tutti hanno dei sentimenti, anche lui ne avrà,  giusto?
Arrivai a destinazione, guardai in giro… persi un battito e le mie gambe si fecero molli e iniziarono a tremare… era lì che guardava il telefono. Mi feci forza, raccolsi tutto il coraggio dentro di me e feci un bel respiro profondo, iniziai ad incamminarmi verso di lui, e lui alzò lo sguardo incrociandolo con il mio. Mi fece un cenno con il capo indicandomi di avvicinarmi. Titubante lo feci. Appena mi posizionai di fronte a lui lo salutai. Iniziammo ad incamminarci verso una meta a me sconosciuta, e il fatto che io non sapevo dove mi stesse portando non mi piacque, mi metteva in agitazione. Avevo paura, molta paura, ma dovevo stare calma, mi ripetevo che lo stavo facendo solo per Denise e il suo futuro, volevo che avesse una vita normale, come le altre bambine. Camminammo per un po' e l’aria fredda mi stava facendo letteralmente congelare.  Mi chiedevo “chissà quando arriveremo a destinazione”, ma la domanda più importante che mi facevo era “chissà dove mi sta portando”. I miei pensieri furono interrotti da Carlo, che mi disse che eravamo arrivati. Eravamo di fronte a un palazzo. Quel palazzo era trasandato, non mi piacque, sembrava uno di quei posti dove si incontrano tipi poco raccomandabili per fare le loro cose losche. Carlo mi fece entrare per prima. Salimmo le scale in un silenzio assordante, spezzato da Carlo che aprì la porta cigolante. Entrando, notai che l’appartamento era buio e spoglio di ogni tipo di arredamento, c’era solo un orologio appeso al muro che spezzava il silenzio. Lui iniziò a girarmi intorno con le mani dietro la schiena dicendo: -Sai, mi dispiace per Denise, rimarrà sola… avresti fatto meglio a portarti qualcuno, oppure a non venire proprio- A questa frase spalancai gli occhi e mi si gelò il sangue. Sentii delle mani da dietro prendermi le braccia e bloccarmele dietro la schiena, la persona che avevo dietro disse solo un misero: -Ciao Lea, come stai-.   Questa voce così profonda e così familiare mi fece venire i brividi lungo tutta la schiena: era Vito, il fratello maggiore di Carlo. In quel momento capii che la mia vita era in serio pericolo e cercai di dimenarmi per riuscire a liberarmi e scappare, ma ovviamente loro erano in due ed erano due uomini, erano più forti di me, dunque non avevo nessuna speranza di riuscire a scappare. Carlo, per farmi smettere di dimenarmi, mi tirò un pugno sul naso, talmente forte che mi fece uscire del sangue. Il mio cuore stava battendo a mille, le mie gambe tremavano. Vito mi buttò a terra e con Carlo iniziarono a picchiarmi, tirandomi calci e pugni; mi tirarono un calcio sulla mascella così forte che penso me l’abbiano rotta, mi diedero un calcio in pancia che mi fece piegare ancora di più dal dolore. Ormai ero in posizione fetale, in lacrime, ad aspettare la mia mala sorte. In quel momento stavo pensando solo ed unicamente a Denise, rimarrà sola… La daranno sicuramente in adozione…  La immaginai già mentre era in lacrime. Orami ero in una pozza di sangue. Avevo dolori dappertutto, penso che avevo quasi tutte le ossa rotte. Smisero di picchiarmi, avevo il fiatone e mi faceva male la testa. Andarono via, in un’altra stanza dell’appartamento. Ne approfittai per cercare di scappare. Iniziai a strisciare verso la porta lasciandomi una scia del mio sangue dietro, del cui odore era ormai intrisa tutta l’aria della stanza. Arrivai alla porta, cercai di arrivare alla maniglia ma appena la afferrai arrivarono Vito e Carlo. -Dove credi di andare- disse Carlo, che con una mano mi afferrò e mi fece mettere in ginocchio puntandomi una pistola in fronte. -Dici le tue ultime parole- io allora gli sputai sulle scarpe, lui mosse il dito sul grilletto e sparò.
 In quel momento, appena la pallottola entrò nella mia testa, non sentii più nulla, come se fossi sott’acqua. Mi apparve tutta la mia vita davanti ai miei occhi, quasi come se fosse un film… però velocizzato. Ad un tratto, mentre ormai la mia anima stava abbandonando il mio corpo, tornai a sentire per qualche istante, sentii le risate dei due fratelli Cosco, soddisfatti del loro lavoro portato a termine, e anche il fastidioso ticchettio dell’orologio. Piano piano me ne stavo andando, il mio corpo era ormai freddo e perdeva colore. Il mio ultimo respiro lo usai per dire: -Ti voglio bene Denise.

EPILOGO

Il corpo di Lea Garofalo venne portato via da quell’appartamento da Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino, che lo portarono a San Fruttuoso, un quartiere di Monza, dove poi venne bruciato per tre giorni fino a eliminarlo completamente. Nell’ottobre del 2010 venne emesso il mandato di arresto dei cinque uomini, mentre pochi mesi prima, il 24 febbraio, erano già state arrestate le due persone che avevano messo a disposizione il terreno di San Fruttuoso per bruciare il corpo.

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