Libia: terra martoriata dalla continua guerra civile
Guerra civile in Libia, cosa sta succedendo?
LIBIA: TERRA MARTORIATA DALLA CONTINUA GUERRA CIVILE
Sarraj e Haftar, origini conflitto, schieramenti e posizione dell’Europa e dell’Italia
In Libia non c’è pace. Dal mese di aprile il conflitto si è riacceso. Ma qual è la situazione? Cerchiamo di fare chiarezza ricordando anche un po’ di fatti storici. La Libia fino alla seconda guerra mondiale è stata una colonia dell’Italia, poi è passata sotto il controllo di Regno Unito e Francia, fino alla sua indipendenza nel 1952. Nacque così il regno di Libia, che però fu abbattuto con un colpo di stato dal colonnello Gheddafi, che ben presto instaurò una vera dittatura. Nel 2011, nell’ambito delle cosiddette “primavere arabe,” che portarono ribellioni civili in molti paesi dell’Africa mediterranea e del Medio Oriente, ci fu la caduta e la morte di Gheddafi. Nel 2012 ci furono le elezioni, che però non portarono affatto alla pacificazione, bensì ad una serie di disordini e ad un susseguirsi di tensioni che esplosero in un lungo e confuso periodo di lotte tra numerose fazioni, di cui nessuna in grado di imporsi completamente sulle altre.
Nel 2014 entrò sulla scena il generale Haftar, che era stato al servizio di Gheddafi, dando il via a una serie di scontri con le milizie islamiste che sfociarono in una vera e propria guerra civile, fino alla nascita di due governi: uno di stanza a Tripoli e uno a Tobruch.
Dopo lunghi negoziati le Nazioni Unite nel 2016 ottennero la creazione di un governo di unità nazionale con a capo Fayez al Sarraj, a cui i precedenti due governi e le innumerevoli milizie in lotta ormai da anni non cedettero lo spazio volentieri.
Il paese ancora oggi è diviso in due: da una parte c’è il presidente Fayez al Sarraj, riconosciuto dall’Occidente, che controlla la parte Ovest del paese compresa la capitale Tripoli. A Est invece ci sono le truppe fedeli al generale Haftar, di base nella città di Tobruch. Come se non bastasse, tutta la parte Sud del paese è fuori dal controllo di entrambi i governi, con circa una quarantina di milizie e tribù, tra cui anche alcune riconducibili all’Isis, che controllano zone in prevalenza desertiche. Il rischio che l’Isis (dopo la caduta dello stato islamico) possa di nuovo radicarsi sfruttando la situazione è uno dei principali fattori che spinge le potenze occidentali a sostenere con decisione un governo di unità nazionale con cui avere contatti, così da poter offrire supporto e rinforzi politici e militari al governo di Sarraj.
Il governo di Tripoli è sostenuto da Usa, Regno Unito, Turchia e anche dall’Italia, mentre il generale Haftar può godere sull’appoggio di Egitto, Emirati arabi e Russia. Anche la Francia, “tradendo” l’Occidente, pare abbia simpatie per Haftar, tanto che c’è chi ipotizza che Parigi possa trarre vantaggi economici da questa avanzata del generale a discapito proprio dell’Italia.
Da aprile 2019 il generale Haftar ha mosso le sue truppe verso Tripoli e al momento si starebbe cercando di studiare un nuovo cessate il fuoco. I nuovi scontri potrebbero far definitivamente naufragare l’ipotesi di regolari elezioni entro la fine dell’anno.
L’Unione europea, così come l’Onu, continua a chiedere il cessate il fuoco e la ripresa dei negoziati di pace, ma esclude di intervenire con operazioni militari. E l’Italia? L’Italia, oltre ai numerosi interessi economici, (più di 50 aziende italiane in Libia, con 60000 lavoratori e uno scambio commerciale di più di 10 miliardi) ha instaurato con la Libia degli accordi che riguardano la gestione dei migranti. Negli ultimi giorni questi accordi sono stati rinnovati, nonostante la situazione libica non garantisca nessuna stabilità e soprattutto nessuna garanzia di un rispetto minimo dei diritti dei migranti. Anche l’Italia, quindi, col ministro Di Maio, chiede un cessate il fuoco permanente ed esclude qualunque intervento militare.
Ma né Haftar né Sarraj sono disposti a negoziare e l’Europa è più debole che mai.A Tripoli negli ultimi giorni ci sono state manifestazioni contro gli europei, accusati di non fare nulla e di aver lasciato la capitale sotto i bombardamenti. Anche la conferenza tenutasi a Berlino, a cui hanno partecipato dodici paesi, non ha portato a niente di concreto. Onu ed Europa continuano a dire di volere un negoziato, ma i due non vogliono negoziare, e così la questione forse la risolveranno Erdogan e Putin, che hanno i loro interessi economici da difendere. O forse si aspetterà che qualcuno dei due vinca e detti le sue condizioni.
ILARIA
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina