Leopardi, l'infinito e noi
Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempierci l’animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch’è ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può aver fine in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita. E non ha limiti 1 né per durata né per estensione. (G. Leopardi, Zibaldone, 165-172) La poesia “L’infinito” è stata scritta da Giacomo Leopardi più di duecento anni fa, nel 1819. Il poeta descrive il colle solitario, nei pressi di Recanati, che era in grado di suscitare in lui profonde emozioni. Il colle gli impediva la vista di ciò che s